Nonostante Cina e USA stiano spingendo con investimenti per una crescita interna dell’industria dei chip, rimangono tuttora dipendenti da Taiwan.
Tutti i dispositivi che ci circondano e che vengono utilizzati nella quotidianità, a livello civile e ancor più a livello militare – dagli smartphone alle automobili, dai dispositivi IoT ai supercomputer – hanno un punto in comune, fondamentale per il loro funzionamento: i semiconduttori.
Questi materiali stanno alla base della produzione dei cosiddetti microchip, i quali vengono utilizzati da aziende e da consumatori in tutto il mondo e stanno diventando ogni anno sempre più importanti nella costruzione di nuove tecnologie.
Ma da dove arriva la maggior parte di questi materiali? E perché giocano un ruolo così importante nella geopolitica?
Perché Taiwan? Un po’ di storia
Taiwan è un’isola dell’Oceano Pacifico situata a circa 160 km dalla costa sud-orientale della Cina. Dopo due secoli di controllo cinese, nel 1895, alla fine della prima guerra sino-giapponese, diventa una colonia del Giappone.
L’isola ritorna sotto la guida della Cina nel 1945, a seguito della sconfitta del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale. Quattro anni dopo, però, l’esercito comunista di Mao sconfisse le forze del partito Nazionalista, le quali si rifugiarono a Taiwan insieme a circa due milioni di rifugiati cinesi che nello stesso 1949 riconoscono Taipei come capitale della Repubblica di Cina in esilio.
Durante gli anni ’70 Taiwan soffre di un isolamento internazionale, anche da parte degli Stati Uniti che si allontanano dopo un appoggio iniziale. Ma è proprio in questi anni che l’isola si trova a vivere un periodo di forte industrializzazione, diventando una delle quattro tigri asiatiche (le altre tre sono: Corea del Sud, Hong Kong e Singapore), grazie anche alla fine della legge marziale nel 1987.
Se con Lee Teng-hui, eletto alle prime elezioni dirette nel 1996, e la successiva elezione del portavoce del Partito Progressista Democratico Chen Shui-bian, nel 2000, Taiwan vede migliorare i suoi rapporti con gli USA, sull’altro fronte aumentano le tensioni con la Cina, che non accetta questa separazione e sfrutta il principio di “una sola Cina” per cercare di arrivare ad un punto finale della questione in maniera pacifica.
Leader globale nel mercato dei semiconduttori
Il boom industriale degli anni ’70 vide presto la nascita di compagnie produttrici di semiconduttori e componenti e dispositivi elettronici, tra cui radio, computer e televisori. Taiwan si fa strada, già dalla metà del 1980, come la più grande produttrice mondiale di materiali e prodotti legati al mondo ICT, aiutata dalla sua economia basata principalmente su piccole e medie imprese, a differenza di Corea del Sud e Giappone.
Non è un caso che al primo posto nella classifica globale di produttori di semiconduttori troviamo la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), nata nel 1987 a Hsinchu ed arrivata a possedere ben 14 nodi di produzione e 31 fabbriche dislocate tra l’Asia e gli Stati Uniti. L’azienda da sola copre ben oltre il 50% del fabbisogno globale, producendo per compagnie come Apple, Intel, AMD, Qualcomm. Dopo di lei troviamo Corea del Sud e China, con numeri di produzione bel lontani da quelli dell’azienda taiwanese (rispettivamente 16% e 6%).
Il COVID-19 non ha risparmiato nemmeno questo settore, generando uno squilibrio tra domanda e produzione e una conseguente carenza dei prodotti. Infatti, dall’inizio della pandemia e dei lockdown la richiesta di componenti e prodotti ICT è aumentata sia da parte del retail che da parte delle aziende, per esempio per il miglioramento delle infrastrutture necessarie al lavoro da remoto.
L’equilibrio tra domanda e offerta è uno dei problemi che ci si trova ad affrontare. Un altro aspetto, molto più delicato, è il difficile gioco di stabilità geopolitica tra i diversi protagonisti coinvolti: Stati Uniti, Cina, Giappone e Corea del Sud.
Cosa c’entra la geopolitica?
Nei retroscena della produzione di semiconduttori si cela molto più di quanto si possa immaginare. Queste componenti sono fondamentali per tutti i dispositivi elettronici moderni, ma ancor di più per lo sviluppo di nuove tecnologie. Ed è qui che si inizia a capire perché Taiwan è così importante agli occhi di Cina e Stati Uniti: avere “l’esclusiva” significherebbe controllare una delle industrie più importanti e strategiche per l’innovazione tecnologica.
Nonostante entrambi gli Stati stiano spingendo con investimenti per una crescita interna dell’industria dei chip, rimangono tuttora fortemente dipendenti da Taiwan. Negli ultimi anni si sono succeduti una serie di eventi che hanno visto prima l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, aumentare la vendita di armi ai militari di Taipei; Biden poi ha mantenuto la posizione del suo predecessore e ha, inoltre, previsto il passaggio di navi militari intorno all’isola e allo Stretto di Taiwan, per sottolineare la loro presenza nella regione.
Le posizioni americane non sono state viste di buon occhio da Xi, ma dal canto suo Taipei già nel 2016, seguito dell’elezione di Tsai, aveva intensificato la frequenza dei pattugliamenti e della sorveglianza aerea intorno a Taiwan. Il governo cinese è stato anche accusato di attacchi informatici contro almeno dieci agenzie governative taiwanesi finalizzati ad aver accesso a dati governativi e informazioni personali.
Insomma, il destino di Taiwan e dei suoi semiconduttori è ancora in alto mare. Al momento si trovano in acque mosse, con gli Stati Uniti da una parte che mostrano i muscoli per intimidire la Cina e rafforzare i rapporti politici e commerciali con Taipei e, dall’altra, il sogno del presidente Xi Jinping di una riunificazione con l’isola per raggiungere il “Chinese Dream” entro il 2049.