Per il Garante della Privacy il ricorso alle app o comunque a software che non siano inoculati direttamente sul dispositivo-ospite, ma scaricati da piattaforme liberamente accessibili a tutti “potrebbe essere oggetto di un apposito divieto”.
Più garanzie sulle intercettazioni ottenute tramite i software-spia. E’ l’invito rivolto in Parlamento da parte del Garante della Privacy il cui Presidente, Pasquale Stanzione, è stato audito mercoledì in Commissione Giustizia del Senato sul ddl Giustizia e in particolare sulle misure in materia di intercettazioni e informazione di garanzia.
L’esame parlamentare del disegno di legge potrebbe rappresentare “l’occasione per introdurre maggiori garanzie rispetto alle intercettazioni mediante captatori.
Le potenzialità intrusive di tali strumenti impongono garanzie adeguate per impedirne la degenerazione in mezzi di sorveglianza eccessivamente ampia o, per converso, in fattori di moltiplicazione esponenziale delle vulnerabilità del compendio probatorio, rendendolo permeabile se allocato in server non sicuri o, comunque, delocalizzati anche al di fuori dei confini nazionali” avverte Stanzione ricordando alcune vicende (“si pensi al caso Exodus del 2019″) in cui sono state realizzate “captazioni mediante malware” da parte di società incaricate.
Il Garante evidenzia “i rischi connessi all’utilizzo di captatori informatici con il ricorso, da parte delle società incaricate, a tecniche di infiltrazione prive della necessaria selettività” come nel caso di “software connessi ad app, che quindi non sono direttamente inoculati nel solo dispositivo dell’indagato, ma posti su piattaforme accessibili a chiunque. Ove rese disponibili sul mercato, anche solo per errore in assenza dei filtri necessari a limitarne l’acquisizione da parte dei terzi, come parrebbe avvenuto nei casi noti alle cronache, queste app-spia rischierebbero, infatti, di trasformarsi in pericolosi strumenti di sorveglianza massiva”.
Per il Garante della Privacy il ricorso alle app o comunque a software che non siano inoculati direttamente sul dispositivo-ospite, ma scaricati da piattaforme liberamente accessibili a tutti “potrebbe essere oggetto di un apposito divieto”. In alternativa, “si potrebbe prevedere che l’effettiva installazione nel dispositivo elettronico portatile e le conseguenti funzionalità acquisitive del captatore informatico, possano compiutamente realizzarsi solo dopo aver verificato l’univoca associazione tra il dispositivo interessato dal software e quello considerato nel provvedimento giudiziale autorizzativo”.
Per Stanzione, in ogni caso, “sarebbe opportuno vietare il ricorso a captatori idonei a modificare il contenuto del dispositivo ospite e a cancellare le tracce delle operazioni svolte”. Infatti, “ai fini della corretta ricostruzione probatoria, della garanzia del diritto di difesa come anche della privacy è indispensabile disporre di software idonei a ricostruire, nel dettaglio, ogni attività svolta sul sistema ospite e sui dati ivi presenti, senza alterarne il contenuto, corrispondentemente valorizzando l’esigenza di una verbalizzazione analitica delle operazioni compiute”.
In conclusione, “ferma restando l’opportunità dell’introduzione delle su descritte cautele, la particolare invasività dei software-spia merita certamente una riflessione del legislatore in ordine al reale ambito applicativo di questo mezzo di ricerca della prova”.