L’intervento di Alfredo Mantovano, autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, intervenuto alla cerimonia di premiazione della sesta edizione del premio “Una tesi per la sicurezza nazionale”, promosso dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS).
Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano, è intervenuto questa mattina a Palazzo Dante alla cerimonia di premiazione della sesta edizione del premio “Una tesi per la sicurezza nazionale”, promosso dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) con l’obiettivo di avvicinare le giovani generazioni al mondo dell’Intelligence, promuovendo e incentivando gli studi su temi correlati alla Sicurezza Nazionale. Erano presenti all’evento il Direttore generale del DIS Elisabetta Belloni, il Direttore di AISE Giovanni Caravelli e il Direttore di AISI Bruno Valensise. Di seguito il testo del suo discorso.
“Martedì scorso, il 2 dicembre, ero fra i relatori alla presentazione del rapporto conclusivo della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza. Dalla relazione emerge un quadro allarmante: alla domanda “Come stanno i ragazzi e le ragazze nel nostro Paese?” la risposta è stata una ampia illustrazione di disagi, insicurezze, “malessere diffuso, che si esprime in forme diverse, ma che riguarda diverse fasce d’età e tutti i ragazzi”.
A una settimana di distanza, lo stare tra voi mi conforta. Perché la tendenza raccontata dal rapporto conosce anche significative eccezioni. Voi lo siete.
Le vostre presentazioni offrono tanti spunti di interesse: dagli scenari internazionali da alcuni di voi trattati, con riferimento alle differenti iniziative della Russia e della Cina, alla posizione dell’Unione Europea, e alla sua ricerca di una autonomia strategica in tema di sicurezza e di ordine pubblico, fino alle questioni che chiamano in causa la cybersecurity e la vulnerabilità delle reti, soprattutto quelle che custodiscono i dati sanitari. Tutto questo conforta in ordine alla decisione, di recente assunta d’intesa coi vertici dell’intelligence, quella di portare al 60% l’aliquota degli ingressi tramite concorso, confidando in tante ‘vocazioni’ di giovani capaci.
L’aspetto più bello delle vostre esposizioni è però l’entusiasmo: è il segno di una sensibilità per temi che riguardano la comunità nazionale. Dare il proprio contributo alla Nazione – anche solo in termini di pensiero, come avete fatto voi con le vostre tesi – deve riempire di orgoglio.
Ancor di più quando lo si fa nell’ambito dell’intelligence, che rappresenta una delle articolazioni dello Stato più apprezzate: e da tempo lo è, oltre i tradizionali spazi della difesa e della sicurezza, in ambienti come quelli delle aziende, delle università, dei centri di ricerca. Permettetemi di aggiungere una percezione: quella che questo profilo non sempre è adeguatamente valorizzato.
Allora, approfitto dell’occasione per porre un interrogativo, correlato con l’inadeguata percezione del valore dell’intelligence: essere così rigorosi nel divieto di disvelamento dell’identità degli appartenenti dei Servizi di informazione per la sicurezza è ancora una necessità al passo coi tempi? A scanso di equivoci, non mi riferisco al divieto che ovviamente va applicato col massimo del rigore per chi svolge compiti operativi.
Mi riferisco a chi è impegnato nell’attività di analisi, o comunque in una attività caratterizzata da una naturale esposizione pubblica.
Incontrato di frequente i rettori delle università italiane – parlo degli atenei più importanti e noti, statali e non statali -: sarebbero lieti di mettere a disposizione dell’intelligence nazionale alcuni dei loro migliori ex studenti o dei loro ricercatori. Ritengono una simile collaborazione motivo di vanto. Soffrono però il fatto di non poterne fare cenno pubblicamente. E questo ne determina l’impedimento. In altre Nazioni occidentali non è così.
Lo scorso anno, in questa occasione, proposi una lieve rettifica semantica: quella di archiviare l’espressione “Servizi segreti” – che evoca il nascondimento, le tenebre, le trame oscure – e di parlare di “Servizi di intelligence”; e quella di non usare più l’espressione “Comparto”, che richiama o le ferrovie o i supermercati.
Non so misurare quanto seguito queste proposte abbiano avuto.
Quest’anno aggiungo una ulteriore proposta, non più lessicale: troviamo strade per riconsiderare i vincoli di segretezza riguardanti l’identità del personale della ns intelligence non impiegato in contesti operativi. E ciò per agevolare una più libera propagazione del senso di appartenenza a questa sempre più fondamentale articolazione dello Stato.
Nell’attesa che maturi qualcosa, potreste anticipare i tempi, e portare tra i vostri amici, negli ambienti che frequentate quotidianamente, l’orgoglio di essere diventati parte, anche solo per un giorno, di un pezzo della dinamica della nostra intelligence”.