Pubblica Amministrazione, industria, principali imprese e organizzazioni politiche, istruzione, sanità ed energia, sono diversi e molteplici i settori strategici dell’Australia sotto attacco informatico. Il Governo di Canberra ha informato ieri i suoi cittadini e il mondo che dietro ci potrebbe essere un “attore statale” straniero.
“Sappiamo che si tratta di un sofisticato attore statale a causa delle dimensioni e della natura degli obiettivi e della tecnica utilizzato. Purtroppo, questa attività non è nuova. La frequenza è in aumento”, ha dichiarato il Primo ministro australiano, Scott Morrison, secondo quanto riportato dall’Agi stamattina.
Australia sotto attacco
Ciò che preoccupa l’esecutivo australiano è che nel mirino degli attacchi ci sono le infrastrutture critiche e i fornitori di servizi essenziali.
Morrison ha poi denunciato pubblicamente che tra i possibili attori statali stranieri, sospettati di aver partecipato all’attacco, non possono che esserci Cina, Russia o Iran: “Non ci sono troppi attori statali al mondo che hanno le capacità necessarie per compiere attacchi del genere”.
I sospetti su quale sia questo “state-based cyber actor” si stanno rapidamente indirizzando verso la Cina, più che gli altri due Paesi menzionati.
Peter Jennings, direttore dell’Australian Strategic Policy Institute (ASPI), ha detto alla CNN che “al 95% si tratta della Cina, c’è la Cina dietro questi attacchi informatici”.
Principalmente perché Pechino era già indiziato di altri cyber attacchi condotti contro il Parlamento australiano e importanti istituzioni pubbliche nel febbraio dell’anno passato, prima delle elezioni politiche.
La questione cinese
In un’indagine indipendente, condotta dal Governo e pubblicata dalla Reuters a settembre 2019, la cyber intelligence australiana (Australian Signals Directorate) ha individuato nel Ministero della Sicurezza di Stato il responsabile di quegli attacchi.
L’Australia non ha mai nascosto il suo timore reverenziale nei confronti del gitante asiatico, sia perché la Cina è ormai una potenza economico-finanziaria in tutto il Pacifico meridionale, sia per i crescenti investimenti in armamenti e tecnologie militari.
La risposta cinese non si è fatta attendere, con dazi commerciali e una comunicazione che mette continuamente in cattiva luce l’Australia, per esempio criticandone il razzismo, invitando anche i propri giovani a non scegliere le università australiane.
Situazione che di fatto vede l’Australia sempre più schiacciata sulla politica americana anti-cinese. A partire dalla richiesta di Canberra di un’inchiesta indipendente mondiale sull’origine della pandemia di COvid-19, con l’intenzione evidente di colpire Pechino.