L’ internet delle cose, l’elettrificazione di interi settori a partire dalla mobilità, l’intelligenza artificiale. E poi i modelli di business guidati dall’alto grado di connettività dei sistemi e la cybersecurity.
Per l’industria mondiale, i prossimi cinque anni saranno più dirompenti dei venti passati. Queste diverse tendenze integrate tra loro e in grado di cambiare nel profondo l’economia e il tessuto produttivo, infatti, dispiegheranno la loro influenza su tutti gli operatori, nessuno escluso.
Operatori che però, dice una nuova ricerca di McKinsey, non sono preparati alla trasformazione in corso, e se non sapranno dare risposte adeguate rischiano di soccombere anziché godere dei benefici che questa rivoluzione fa intravedere. Per disegnare un quadro articolato della situazione, la società di consulenza ha intervistato 300 manager di diversi settori industriali: di loro, l’85% ha visto un cambio significativo sul fronte della rapidità e della scala delle trasformazioni rispetto all’andamento dei decenni passati. In ballo ci sono vantaggi importanti: solo rispetto all’internet delle cose, l’impatto economico annuale generato dalle sue applicazioni varrà oltre 11 trilioni di dollari entro il 2025, mentre da qui a sette anni le vendite di veicoli elettrici sono destinate a crescere del 25-30% l’anno.
«Le dimensioni della torta intera stanno crescendo», sintetizza il report, «ma devi combattere per prenderti la tua fetta». Nove intervistati su dieci, infatti, si aspettano di trovarsi di fronte a nuovi concorrenti nei prossimi due-cinque anni: i giganti della tecnologia e del software (46%) e le start up (37%) sono i più temuti, seguiti da mercati emergenti (23%) e altri competitor già presenti sul mercato (19%).
Una rivoluzione che impatterà sulla forza lavoro, colpendo circa un terzo della manodopera da qui a cinque anni, a fronte di una scarsità di competenze in programmazione, intelligenza artificiale, data science.
E proprio la gestione delle competenze, insieme alla cybersecurity, è uno degli ambiti in cui gli autori hanno osservato un maggiore scollamento tra le opportunità offerte dalle tendenze in atto e il basso livello di preparazione delle imprese.
Un risultato simile emerge da una recente ricerca realizzata da Pierre Audoin Consultants per Fujitsu sull’applicazione in Europa dei sistemi di intelligenza artificiale, che evidenzia «una sorprendente mancanza di focus strategico per i progetti legati all’utilizzo dell’AI, anche se, a livello funzionale, risultano chiari i vantaggi del suo impiego».
Dunque, come cambiare passo? La prima indicazione che dà McKinsey nel suo report è quella di prendere sul serio il fattore business model: tra quelli emergenti, i più attrattivi per le aziende sono il sistema «Pay per use» (47%) e la monetizzazione dei dati (40%).
È anche necessario collaborare: «Produttori, fornitori e erogatori di servizi devono formare alleanze o inserirsi in ecosistemi, anche con aziende che potrebbero non aver considerato come partner naturali». Partnership che però dovranno essere accompagnate da una riallocazione delle risorse: «Tipicamente, le aziende che ridistribuiscono attivamente le risorse hanno anche performance significativamente migliori delle altre». Oggi, la metà dei manager intervistati prevede di spostare una quota degli investimenti aziendali compresa tra il 10% e il 30% a favore delle nuove tendenze in atto, mentre un altro 28% punta a rivedere la destinazione di oltre il 30% degli stanziamenti.
McKinsey esorta anche a investire sulle competenze: in un contesto di mancanza preoccupante di figure connesse a intelligenza artificiale e analisi dei dati e incapacità delle aziende di formare internamente questi profili, spesso si punta a correre ai ripari attraverso fusioni e acquisizioni o partnership. Da non dimenticare l’importanza della flessibilità e reattività dell’intera struttura aziendale, ancora poco considerata: «Solo un quarto ha iniziato progetti pilota o lanciato programmi per diventare più agile».
Come mostra anche la tabella, i giganti della tecnologia e del software (46%) e le startup (37%) sono i più temuti per i cambiamenti in corso, seguiti da mercati emergenti (23%) e altri competitor già presenti sul mercato (19%). La società di consulenza ha intervistato 300 manager di diversi settori industriali </p>