Il fatto è avvenuto la scorsa settimana, ripreso da Repubblica: su PolitiFact e Snopes, due siti che Oltreoceano si occupano di demistificare le notizie bufala, compaiono degli strani titoli che rimandano a news potenzialmente dirompenti.
La First Lady, Melania Trump, sta lasciando Washington per tornare a New York. E la star TV Joanna Gaines ha deciso di divorziare lasciare anche il suo programma televisivo (da noi l’equivalente sarebbe un annuncio simile di Maria De Filippi). Peccato che nessuna di queste notizie fosse autentica: sono tutte fake news, è click baiting, esche per acchiappare i lettori. Veicolate a mezzo Google AdSense.
Il caso Snopes e PolitiFact
Quello che è capitato è raccontato con dovizia di particolari sul New York Times: d’improvviso gli autori dei due siti già citati, noti negli USA per il lavoro che svolgono per verificare tesi e notizie in odore di bufala, si sono trovati piazzati in bella vista dei lanci che apparentemente rimandavano a testate rispettabili del settore come Vogue o People. Ma si trattava di un’apparenza che inganna: era click baiting, un trucco per attirare su un sito il lettore con un titolo accattivante. Per definire la questione è stato clonato il termine “tabloid cloaking”: una fake news travestita.
Non c’è stato alcun attacco ai danni di Snopes o PolitiFact, chi ha ideato la campagna ha sfruttato strumenti legittimi: ha acquistato spazio pubblicitario a mezzo Google AdSense, ovvero la più grande piattaforma di questo tipo presente in Rete e che ha fatto la fortuna di Google – che con questo sistema di advertising fattura miliardi di dollari – e pure di chi gli annunci li ospita. Si tratta di un mezzo di sostentamento importante per siti come quelli vittima di questa sorta di raggiro, che non hanno avuto fin qui modo di selezionare nel dettaglio i contenuti che compariranno in pagina visto che tutto il meccanismo è automatico.
Avvertiti del problema, i tecnici di Google sono intervenuti per collaborare con quelli di Snopes e PolitiFact ed eliminare le campagne incriminate. “Come sempre, quando troviamo pubblicità ingannevoli sulle nostre piattaforme, agiamo rapidamente, arrivando al punto di sospendere l’account dell’inserzionista, se lo riteniamo opportuno – recita la nota diffusa da un portavoce Google a commento di quanto accaduto – Inoltre, forniamo agli editori controlli granulari che permettono di bloccare determinati tipi di annunci e di inserzionisti pubblicitari”.
Il problema tabloid cloaking
La vicenda riporta a galla una questione che si è imposta nel dibattito pubblico da molti mesi a questa parte, in particolare a ridosso delle elezioni presidenziali USA: le fake news sono un tema scottante, che mina la qualità dei contenuti presenti in Rete, notizie bufala che fino a questo punto sono riuscite ad aggirare gran parte dei blocchi e dei sistemi di filtraggio messi in campo dai service provider. Recentemente Google ha anche introdotto una nuova tecnologia che dovrebbe bloccare questo tipo specifico di inserzioni, e sta cercando di fornire maggiore controllo agli editori per poter intervenire e schermarsi rispetto a questi contenuti ingannevoli.
“Le black list in realtà non hanno mai funzionato” è però l’opinione di Delos L. Knight III, ex vicepresidente eBay, raccolta da Arturo di Corinto su Repubblica: secondo il manager statunitense, l’approccio attuale ex-post non riesce a tenere testa a questo tipo di fenomeno. La strada da seguire secondo lui sarebbe porre in capo ai service provider, quindi Facebook e Google per fare due nomi tra i più importanti, la questione di scovare una soluzione tecnica per arginarlo.