La strategia del cyber-terrore della Corea del Nord è molto chiara e in un certo senso simile a quella dell’Isis: formare i militanti da scandagliare nel resto del mondo, per seminare il caos, creare disagi e accrescere il timore verso un paese che in passato è stato sin troppo sottovalutato.
Guadagnare con l’hacking
L’obiettivo di Pyongyang non è solo politico ma anche economico: tutti i principali attacchi cibernetici accostati agli hacker di Kim Jong-un hanno portato un vantaggio finanziario al governo nordcoreano. Pensiamo al recente WannaCry e prima ancora alla violazione di cui è stata vittima la Sony Pictures, che ha permesso di ottenere le comunicazioni riservate tra i manager della multinazionale giapponese, da rivendere a caro prezzo sul dark web.
La gola profonda
I lupi solitari del sottobosco digitale coreano sono meno isolati di quanto si creda, agiscono per conto proprio, è vero, ma sono sempre connessi con un filo trasparente, ma solido, alla base di Pyongyang, al pari dei combattenti dello stato islamico. A svelare retroscena del genere, a cui ognuno sarebbe arrivato solo per supposizioni, è Jong Hyok, un pentito dell’esercito cyber della Corea del Nord, che ha raccontato a Bloomberg come vive uno smanettone girovago al servizio del regime.
Un solo scopo: fare soldi
Come ha rivelato il trentenne, a differenza degli altri gruppi hacker, che si dividono in due categorie, indipendenti e guidati dallo stato, i militari a nord dell’Osservatorio di Unificazione (uno degli avamposti a Sud che delimita il confine con il settentrione) hanno un solo scopo: guadagnare soldi per la propria nazione, utili soprattutto per tenersi a galla in anni devastanti per le pesanti sanzioni contro il programma nucleare a cui Kim Jong-un non vuole rinunciare.
Una paga da fame
Jong Hyok ha spiegato che un hacker impiegato medio può portare a casa anche 100 mila dollari all’anno, facendo più o meno quello che vuole online, ma tendendo sempre a oltrepassare il limite, visto che di quanto racimolato la cifra da tenere per sé è circa del 10%. Le agenzie di sicurezza informatica in Corea del Sud hanno studiato per decenni la situazione, monitorando le spedizioni di centinaia di ragazzi in Cina, India e persino in Cambogia, in luoghi lontani dalla vita frenetica delle metropoli, dove costruire veri e propri uffici e far partire attacchi globali.