Il Massachusetts apre un’inchiesta su Facebook perché non ha impedito la violazione di 50 milioni di account poi influenzati a votare, tra gli altri, per Trump. Nel 2012 ‘Cambridge Analytica’, la società, che ha usato illecitamente i dati, ha lavorato anche per un partito italiano ‘che stava rinascendo dopo il successo degli anni 80’.
Nel 2014 il professore di psicologia presso l’Università di Cambridge, Aleksandr Kogan, attraverso una sua app thisideourdigitallife, presente su Facebook e convalidatadalla piattaforma con a capo Mark Zuckerberg, ha pagato a circa 270mila utenti piccole somme di denaro per rispondere a un quiz sulla personalità e per far scaricare un’applicazione, in grado di raccogliere alcune informazioni private dai loro profili e da quelli dei loro amici, l’attività era consentita da Facebook allora. In questo modo Kogan ha rubato centinaia di gigabyte di file di dati mentendo agli utenti sulla vera finalità della raccolta e dell’utilizzo “raccogliamo informazioni per scopi accademici”. Aleksandr Kogan ha poi trasmesso questi preziosi dati alla Cambridge Analytica società inglese di analisi di big data a scopi politici.
Due giorni fa, sabato 17 marzo 2018, grazie alle inchieste pubblicate, contemporaneamente, sul New York Time e sul Guardian si è venuto a sapere la reale finalità dell’attività illecita. A rivelarlo l’ex dipendente della Cambridge Analytica Christopher Wylie: “I dati sono stati utilizzati per influenzare 50 milioni di utenti… negli Usa a votare nel 2016 per Donald Trump presidente e in Uk a favore della Brexit nel referendum che si è svolto a giugno dello stesso anno”. La società Cambridge Analytica è stata presieduta dall’ex consigliere di Trump (e coordinatore della sua campagna elettorale) Steve Bannon.
Quali sono le sue gravi colpe di Facebook?
Sono almeno quattro.
- Non ha fatto nulla per verificare l’attendibilità dell’applicazione scaricata dagli utenti vittime del tranello messo in atto da Aleksandr Kogan.
- Non ha poi controllato il modo in cui le informazioni sono state realmente utilizzate né appurato se sono state cancellate dopo un tempo determinato. L’ex dipendente della società Christopher Wylie ha rivelato di recente di aver visto centinaia di gigabyte di file di dati non criptati sui server della Cambridge Analytica.
- Facebook ha dichiarato solo tre giorni fa, con imperdonabile ritardo, la conoscenza della grave violazione: “nel 2015 abbiamo appreso che Aleksandr Kogan ci ha mentito e ha violato le nostre politiche della piattaforma passando i dati da un’app che utilizzava il Login di Facebook a Cambridge Analytica. Ha anche trasmesso tali dati a Christopher Wylie di Eunoia Technologies”.
- Facebook ha svolto il ruolo di cavallo di Troia. Si è fatta sfruttare, consapevolmente o inconsapevolmente, da una società di analisi di dati a scopi politici dimostrando tutta la sua incapacità a proteggere i dati dei suoi utenti. Se si è dimostrata vulnerabile al più semplice espediente di ‘data breach’ come può garantire la sicurezza e la privacy dei suoi 2 miliardi di iscritti?
Qual è stata la replica di Facebook? (Il responsabile della sicurezza ha cancellato i suoi Tweet): ‘Cambridge Analytica ci ha mentito’
In questa grave vicenda Facebook sembra cadere dal pero o almeno questa è l’immagine che sta dando a livello globale. Il responsabile della sicurezza del social network, Alex Stamos, ha scritto i seguenti tweet per poi cancellarli:
- “Le recenti inchieste su Cambridge Analytica del NY Times e del Guardian sono importanti e potenti, ma non è corretto parlare di ‘data breach’.
- Il ricercatore in questione è venuto in possesso dei dati di diverse centinaia di migliaia di persone su Facebook attraverso il quiz sulla personalità somministrato nel 2014. Ha mentito a quegli utenti e ha mentito anche a Facebook sulla finalità della raccolta e uso dei dati.
- Tuttavia Alexandr Kogan non ha violato alcun sistema… per cui non si può parlare retroattivamente di una “violazione”…
Dunque secondo il responsabile della sicurezza di Facebook la piattaforma è sicura, “ha retto bene”, per sintetizzare, e non è stata vittima di un data breach. La società ha poi rilasciato una versione ufficiale: “l’affermazione che si tratta di una violazione dei dati è completamente falsa. Aleksandr Kogan ha richiesto e ottenuto l’accesso alle informazioni dagli utenti che hanno scelto di iscriversi alla sua app e tutti i soggetti coinvolti hanno dato il loro consenso. Le persone hanno fornito consapevolmente le loro informazioni, nessun sistema è stato infiltrato e nessuna password o informazione sensibile è stata rubata o hackerata”.
Come si intuisce la storia è fosca. Facebook si sente in pace con la coscienza, ma se gli utenti hanno scaricato quell’app è perché si fidano della piattaforma. Ora non più. A fare chiarezza sarà solo chi ha deciso di mettere sotto inchiesta Facebook per questa vicenda. Maura Healey, il procuratore generale del Massachusetts, sabato scorso, subito dopo l’uscita delle inchieste, ha annunciato l’apertura dell’indagine con queste parole: “i residenti del Massachusetts hanno diritto di avere risposte immediate da Facebook e da Cambridge Analytica”. Ma anche Washington e Londra hanno puntato l’indice contro Mark Zuckerger. Infatti la senatrice democratica del Minnesota Amy Klobuchar ha chiesto che Zuckerberg venga ascoltato dalla Commissione Giustizia del Senato per spiegare da quando la società sapeva degli abusi che Cambridge Analytica avrebbe commesso mentre era il motore della vittoriosa campagna elettorale di Donald Trump nel 2016 (venerdì Facebook sospeso dalla piattaforma gli account della società di analisi dati e dei due scienziati responsabili della raccolta dei dati). Ma anche nel Regno Unito vogliono ascoltare Zuckerberg visto il presunto coinvolgimento di Cambridge Analityca e di una società canadese in qualche modo collegata nel referendum che ha portato alla Brexit. Il conservatore Damian Collins, presidente della Commissione digitale e media che sta conducendo una indagine parlamentare sulle presunte influenze sul voto del giugno 2016, ha dichiarato che scriverà al fondatore e Ceo di Facebook chiedendogli di presentarsi davanti alla commissione d’inchiesta.
Anche l’Ue vuole vederci chiaro. Antonio Tajani, presidente dell’Europarlamento: ‘Indagheremo’
Non sta a guardare neanche l’Unione europea che indagherà sulla vicenda. A dichiararlo è stato Antonio Tajani, presidente dell’europarlamento: “Il Parlamento europeo indagherà appieno, chiamando le piattaforme digitali a darne conto”.
In attesa dei risultati delle indagini aperte e di quelle future al momento a punire Facebook a causa di questo scandalo è Wall Street, dove il titolo ha fatto registrare un sonoro tonfo fino al 7%.
Qual è il partito politico italiano per cui ha lavorato Cambridge Analytica?
Sul sito web tra le pratiche di successo in Europa c’è anche l’Italia. “Nel 2012 Cambridge Analytica ha portato a termine un progetto di ricerca per un partito italiano che stava rinascendo e che aveva avuto successo per l’ultima volta negli anni ‘80”… “I nostri consigli hanno permesso al partito di andare oltre le sue aspettative iniziali in un momento di turbolenza nella politica italiana”.