Nel settembre 2017, Donald Trump ha ordinato di disinstallare entro 90 giorni tutti i software Kaspersky – uno dei più noti produttori di antivirus – presenti sui computer delle agenzie governative statunitensi.
Il timore, espresso dal presidente USA, è che questi programmi mettano a rischio la sicurezza nazionale, a causa dell’influenza che il Cremlino potrebbe esercitare sull’azienda con base a Mosca.
Il timore, insomma, è che Kaspersky conduca spionaggio informatico per conto della Russia direttamente all’interno degli uffici governativi. Adesso è giunta la contromossa da parte della società, che ieri ha ufficialmente chiesto a una corte federale statunitense di annullare la decisione dell’amministrazione Trump, spiegando come la messa al bando dei suoi servizi sia giunta senza una regolare e oggettiva verifica dei fatti.
Il fondatore Eugene Kaspersky ha spiegato le sue motivazioni in un blogpostapparso sul sito dell’azienda: “La decisione di rimuovere i nostri prodotti si è basata principalmente su timori soggettivi e su pareri non tecnici e non dimostrati, provenienti spesso da articoli giornalistici basati su fonti anonime e su pettegolezzi. Il dipartimento della Sicurezza ha danneggiato la reputazione di Kaspersky Lab e e le sue operazioni commerciali, senza avere nessuna prova che ci stessimo comportando scorrettamente”.
Kaspersky sottolinea inoltre come la sua società non sia in alcun modo una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti e come lui stesso avesse già proposto di sottoporre i suoi software a verifica tecnica da parte di un organismo terzo e indipendente (un passo che il governo USA ha definito “benvenuto ma non sufficiente”). Non è il danno economico diretto a preoccupare l’azienda di sicurezza informatica – che ha venduto software al governo per 54mila dollari, lo 0,03% delle sue vendite negli Stati Uniti – ma le possibili ripercussioni. Una catena importante come Best Buy, per esempio, ha già ritirato i prodotti Kaspersky dai suoi negozi online.