E’ un errore chiudere i profili sui social media legati alla radicalizzazione. Rischia di portare esclu-sivamente danni e nessun beneficio.
Ne è convinto Corrado Giustozzi, una delle massime autorità cybersecurity in Italia e – tra le altre cose tra i responsabili del Computer Emergency Response Team della Pubblica Amministrazione (CERT-PA) di AgID, nonché membro del Permanent Stakeholders’ Group ENISA. “Le organizzazioni estremiste non usano la rete e i social media per com-piere azioni terroristiche, ma sono state molto attente a sfruttarli per favorire propaganda, proseliti-smo e indottrinamento – ha spiegato Giustozzi a Difesa & Sicurezza, a margine di Cybertech Europe -. Cercano di mantenere vivo il contatto tra membri di una comunità che hanno in comune un’ideologia e di favorirne lo sviluppo verso una maggiore radicalizzazione. Il modo più sbagliato di contrastare il fenomeno è chiudere i profili. E’ meglio invece cercare di capire come si sviluppa per affrontarlo in modo più profondo”.
Giustozzi: Anonymous anni fa fece questo errore. Il risultato fu che rese “cieche” le intelligence oc-cidentali
Per Giustozzi, “chiudere la chat o i profili serve solo a far sì che la prossima volta le stesse perso-ne che li usano, lo faranno in modo un po’ più nascosto e quindi più difficile da scoprire”. A propo-sito, il cyber esperto, anche giornalista e colui che portò in Italia il gioco il rete (LAN) con Doom, ha ricordato che i tentativi in questo contro la radicalizzazione online in questo senso sono stati un fallimento. “Un clamoroso errore è stato fatto da Anonymous, quando fece una campagna contro Isis (Op-ISIS), vantandosi di aver identificato e chiuso 15.000 account su Twitter. La maggior par-te di questi profili social erano monitorati dalle intelligence occidentali, che di conseguenza sono state rese ‘cieche’ rispetto a come si evolveva il fenomeno. Questo, non sempre arriva a punti che richiedono un intervento specifico, ma invece tenerlo sotto controllo è strategico”.
La colpa della radicalizzazione online non è della tecnologia. I mezzi di comunicazione sono neutri rispetto ai messaggi. No a responsabilizzazione provider su contenuti
“E’ chiaro – ha proseguito Giustozzi – che ogni volta che c’è un mezzo di comunicazione comodo, poco costoso, diffuso e utilizzabile da tutti, questo può essere impiegato da chiunque per fare qua-lunque cosa. Dallo scambio di droga alla beneficienza reale, alle applicazioni ludiche. Il problema, però, non è la tecnologia. E’ molto facile darle la colpa, ma è sbagliato. Per esempio, non possiamo vietare le automobili perché qualcuno le usa per compiere rapine o commettere azioni illecite. La prevenzione deve funzionare prima e la repressione dopo. Il mezzo di comunicazione per defi-nizione è neutro rispetto a ciò che viene trasmesso. Perciò – ha sottolineato – imporre come qualcuno vuole di dare ai provider la responsabilità di quello che viene detto sui loro ‘fili’ è sbagliato, improprio e spesso anche inattuabile. Non si debbono trasformare i provider in un grande fratello, che ascolta tutto quello che gli utenti dicono, ammesso che ciò sia tecnicamente possibile. A priori da tutto, ciò è eticamente non è accettabile”.
Perché gruppi come Isis hanno scelto internet come “megafono” e i giovani come “bersaglio”
Perché gruppi terroristici come Isis usano i social media per propaganda, proselitismo e radicaliz-zazione? E perché puntano ai giovani? “Il web è il principale strumento di comunicazione dei ra-gazzi – ha aggiunto il cyber esperto -. Questo per un motivo di opportunità. Se io oggi ho un com-puter e ci passo tante ore, è molto più semplice usare la chat per dialogare, piuttosto che andare fisicamente al circolo – ha detto Giustozzi -. Il successo di Facebook è perché non posso andare sempre al bar o a casa degli amici a parlare delle cose che ho fatto. Il vantaggio della comunicazione intermediata da strumenti digitali, fin dai temi della mail, è che abbatte le barriere di spazio e di tempo. Io metto un messaggio quando ne ho la possibilità e il mio corrispondente lo legge e ri-sponde nel momento in cui può. Non c’è obbligo di stare tutti nello stesso momento nel medesimo luogo”.
Tra i social media l’evoluzione è continua
A ciò, si aggiunge anche “il fascino della tecnologia e la possibilità di scambiarsi documenti, imma-gini, faccine, ecc…Un plus che rende gli strumenti come i social media più versatili. Soprattutto tra i giovani. Ora – ha spiegato l’esperto informatico -, si sta diffondendo la moda dell’uso degli istant messenger per mandarsi clip audio. Come una segretaria telefonica, andando oltre la multimediali-tà, mescolando tanti tipi di comunicazione nella stessa comunità”.
La telematica amatoriale e poi i social media sono nati da fenomeni come i radioamatori
D’altronde, Giustozzi era stato un precursore, a avendo capito la potenzialità di questo tipo di co-municazione già dagli anni ’90 con l’esperienza di Doom. “Da ragazzo venivo da un mondo simile: quello dei radioamatori.La telematica amatoriale è la sua evoluzione, in quanto di notte si stava tutti intorno a questo apparato e si chiacchierava, abbattendo le barriere della distanza – ha ricor-dato -. Si parlava in tanti con persone anche da altre nazioni e si creava una comunità. I suoi vari canali equivalgono alle stanze delle chat di oggi in cui si affrontavano vari temi, dal cinema alla tecnologia. Social media come Facebook sono un modo molto più bello, colorito e facile di creare una comunità o più di una con interessi comuni e la possibilità di coltivarli in un modo che è molto rispettoso della vita di ognuno. Quindi non violenta le abitudini di nessun membro”.
Perché la radicalizzazione passa proprio attraverso i social media e le chat
Perché i gruppi fondamentalisti hanno puntato proprio ai social media e alle chat? La risposta per Giustozzi è abbastanza scontata. “La tecnologia ti permette di fare una cosa, simile a quella reale, abbattendo le barriere di spazio e tempo. E con soggetti reali. Non solo. Quando sei in una chat o in uno strumento simile, il dialogo che continua anche se non tutti gli utenti sono connessi. Rimane intatto il filo logico. Si possono rivedere le conversazioni di altri e le proprie. Anche a distanza di tempo. Rimane così integro il principio dell’identità del gruppo e della ideologia, che viene portata avanti anche senza il contributo di tutti nello stesso momento. Questo – ha concluso il cyber esperto – è, peraltro, rimane un forte elemento di aggregazione. Non dimentichiamoci che tutti i giovani hanno il telefonino sempre in tasca. Sono sempre connessi nel gruppo”.