Il Mimit era intenzionato a farlo con l’articolo 29 presente in una bozza del D.Lgs. “Correttivo” del Codice delle Comunicazioni Elettroniche messa sul tavolo del pre-consiglio dei ministri il 19 marzo, ma la modifica alla norma non ha trovato l’accordo di tutto il governo.
Sulle comunicazioni criptate l’Italia ha provato ad allinearsi alla sentenza storica della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il ministero delle Imprese e del Made in Italy aveva tentato di aggiornare la norma del 2017 ormai desueta sia dal punto di vista giuridico sia perché non più al passo con l’evoluzione tecnologica. Una parte del Governo era intenzionato a farlo con l’articolo 29 presente nella bozza del D.Lgs. “Correttivo” del Codice delle Comunicazioni Elettroniche messa sul tavolo del pre-consiglio dei ministri il 19 marzo, ma la modifica alla norma non ha trovato l’accordo di tutto il governo.
Invece, come risulta a Cybersecurity Italia, nella nuova bozza la norma è stata cancellata mettendo di fatto in pausa l’aggiornamento.
La norma così scritta recepiva sia le osservazioni parlamentari che la sentenza della CEDU, oltre che le posizioni esposte in parlamento da ASSTEL (associazione TLC) e AIAD (associazione industrie difesa e sicurezza).
Ovviamente non essere responsabili per la decrittazione non significa non collaborare con le indagini ma farlo con altri metodi (ad esempio attraverso i Trojan) che però sono metodi “chirurgici” (anche se più costosi) e che non mettono a rischio la sicurezza di tutti i cittadini che invece sono protetti dalla crittografia.
La norma così scritta di fatto ricopiava la norma degli Stati Uniti, che protegge gli operatori di messaggistica come WhatsApp. E crea quindi una par condicio tra italiani e stranieri.
La particolarità della norma italiana vigente è che si applica solo agli operatori italiani.
Ma la modifica alla norma non ha trovato l’accordo di tutto il governo.