L’esempio più eclatante di come l’impiego dei droni possa cambiare l’approccio tradizionale al conflitto navale è visibile nel Mar Nero dove, in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022, l’indiscutibile superiorità convenzionale di Mosca è stata messa a dura prova dalle forze armate di Kiev che hanno rapidamente imparato ad utilizzare al meglio i droni marini.
Di solito, quando si sente parlare di “droni” il pensiero corre subito ai piccoli apparecchi telecomandati dotati di telecamera che sembrano quasi dei giocattoli da far volare in un parco. In ambito militare, invece, la stessa parola evoca immagini di piccoli caccia pilotati da remoto che solcano i cieli armati e pronti alla guerra oppure impegnati in missioni di sorveglianza.
Questo perché ormai il termine “drone” è entrato nell’immaginario collettivo in associazione al volo e allo spazio aereo. Ma da qualche tempo un altro scenario altrettanto importante è diventato il principale teatro di impiego dei droni: il mare.
Soprattutto negli ultimi anni alcuni tratti di mare hanno assunto una rilevanza strategica senza precedenti negli equilibri geopolitici globali, e per le motivazioni più disparate.
Il Mar Cinese Meridionale, da cui transita la maggioranza del traffico commerciale del mondo, è ormai diventato il teatro in cui si sta combattendo una costante prova di forza tra gli Stati Uniti, che non vogliono perdere la loro posizione di dominio su uno specchio d’acqua di tale importanza strategica, e la Cina, che mira ad espandere la propria influenza marittima nella regione attraverso la costruzione di isole artificiali e con esercitazioni navali sempre più frequenti.
Il Mar Rosso, punto di transito obbligatorio per tutte le navi che dall’Asia sono dirette al Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, è di recente assurto alle cronache per la sempre crescente attività degli Houthi dello Yemen che ha reso talmente pericoloso questo passaggio da costringere molte compagnie a deviare le proprie merci a sud, circumnavigando l’Africa e il Capo di Buona Speranza e facendo dilatare di molte settimane i tempi di navigazione.
Il Mar Nero, le cui sponde settentrionali sono oggetto di contesa tra la Russia, che dopo la Crimea ha preso possesso anche delle regioni meridionali dell’Ucraina in seguito all’invasione del 2022, e il governo di Kiev, che non può permettersi di perdere i suoi principali porti, sostenuto dai Paesi occidentali.
Come si è visto, si tratta di tre scenari molto diversi tra loro, per localizzazione geografica, attori coinvolti e motivi dello scontro. Ma tutti questi scenari sono accomunati dall’impiego dei droni marini che, come si vedrà, hanno dimostrato di poter essere utilizzati con successo in situazioni differenti e di consentire anche alla parte “più debole” di poter competere alla pari con una grande potenza navale, producendo un effetto livellante in un conflitto che altrimenti sarebbe stato altamente asimmetrico.
Magura V5, ovvero i droni marini ucraini contro la flotta russa nel Mar Nero
L’esempio più eclatante di come l’impiego dei droni possa cambiare l’approccio tradizionale al conflitto navale è visibile nel Mar Nero dove, in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022, l’indiscutibile superiorità convenzionale di Mosca è stata messa a dura prova dalle forze armate di Kiev che hanno rapidamente imparato ad utilizzare al meglio i droni marini.
È il caso dei droni Magura V5 (un modello di drone lungo circa 5,5 metri e pesante fino a 1000 kg, progettato e costruito in Ucraina) che è divenuto particolarmente noto negli ultimi tempi in seguito all’affondamento di alcune navi da guerra russe.
Magura è un cosiddetto USV (Unmanned Surface Veichle) in grado di agire in missioni di vario tipo, tra cui operazioni antimine, di salvataggio, di sorveglianza e, soprattutto, di combattimento navale. Infatti, le dimensioni ridotte e la capacità di poter navigare per una distanza di 800 km ad una velocità massima di circa 80 km/h consentono al Magura di colpire navi da guerra in mare aperto operando semplicemente come una nave kamikaze che si lancia sul bersaglio per far detonare fino a 300 kg di esplosivo oppure lanciando un missile.
Dall’autunno del 2023 a oggi l’impiego del drone Magura ha consentito all’Ucraina di affondare diverse navi da guerra russe, tra cui navi da sbarco, corvette e navi pattuglia.
Non solo, l’impiego di droni si è dimostrato particolarmente utile anche per colpire l’economia avversaria. Ad agosto 2023 infatti è stata attaccata una petroliera verosimilmente partita dalla Crimea e diretta in Siria dove avrebbe rifornito le forze russe impegnate a combattere sul territorio. Questo episodio ha dimostrato come l’Ucraina possa potenzialmente agire militarmente sulle linee di rifornimento della Russia, limitandone notevolmente la capacità di operare liberamente nel Mar Nero.
L’impiego dei droni marini potrebbe rappresentare un punto di svolta nel modo di condurre la guerra navale
Da un punto di vista strettamente tecnologico, l’impiego dei droni marini potrebbe rappresentare un punto di svolta nel modo di condurre la guerra navale persino superiore all’impatto avuto dai velivoli senza pilota nella guerra aerea.
Questo perché l’ambiente marino (e soprattutto quello sottomarino, in cui operano i veicoli autonomi subacquei, o AUV) rendono estremamente difficile l’attuazione di contromisure idonee. Questi droni infatti possono beneficiare dello specchio d’acqua su cui si muovono e che, in determinate situazioni, ne occulta i movimenti anche agli occhi dei moderni radar (che possono essere resi ciechi da condizioni ambientali quali il mare mosso o fondali irregolari), a differenza di quanto avviene con i droni aerei che si muovono in un dominio più “trasparente”.
In atto una moderna corsa alle armi autonome
A ciò si aggiunga inoltre come il costo di una nave (non necessariamente da guerra) sia enormemente superiore al costo di un drone marino, rendendo quindi economicamente insostenibile il dispiegamento di una grande flotta in cui la perdita anche solo di una singola imbarcazione costerebbe centinaia di milioni di dollari.
Non è un caso dunque se le maggiori potenze del pianeta stiano mettendo in atto una moderna corsa alle armi autonome, soprattutto in un momento storico che, come detto in precedenza, vede nuovamente l’acqua come un terreno di scontro geopolitico il cui controllo (anche, e soprattutto, militare) consentirebbe un vantaggio strategico sui rivali.