Ecco perché l’abbinamento dei dati biometrici con sistemi di blockchain per la distribuzione di aiuti sottoforma di valuta mobile ha il potenziale di rappresentare un rischio per la sicurezza informatica e una violazione dei dati personali.
La distribuzione degli aiuti ai rifugiati è uno degli ambiti del mondo umanitario in cui la sperimentazione di tecnologie blockchain e dell’intelligenza artificiale ha visto una rapida crescita. L’uso di portafogli biometrici collegati al riconoscimento dell’iride, da un lato, e di monete digitali, dall’altro, sta infatti influenzando il modo in cui gli aiuti vengono erogati all’interno dei campi profughi.
Ne è un chiaro esempio Building Blocks, un’iniziativa introdotta nel 2017 dal Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (PAM) che impiega la tecnologia blockchain al fine di fornire aiuti umanitari nei campi profughi. L’iniziativa raggiunge oggi più di 1 milione di rifugiati ospitati nei campi profughi di Giordania e Bangladesh e consente di tracciare, coordinare e fornire diversi tipi di assistenza, tra cui contanti, cibo, acqua e medicine, consentendo di risparmiare circa 2,5 milioni di dollari in commissioni bancarie su milioni di transazioni.
In sostanza, i rifugiati ricevono denaro mobile direttamente dalle Nazioni Unite attraverso l’uso di scansioni dell’iride che fungono sia da prova di identificazione che da portafoglio elettronico. L’impiego di tecnologia decentralizzata basata sulla blockchain permette di mantenere un database online decentralizzato che registra in modo permanente le transazioni digitali invece di affidarsi a un’istituzione finanziaria tradizionale o a un intermediario. L’uso dei portafogli biometrici promette di essere un fattore di inclusione finanziaria per i rifugiati, dal momento che i costi delle transazioni vengono eliminati. Tuttavia, l’abbinamento dei dati biometrici con sistemi di blockchain per la distribuzione di aiuti sottoforma di valuta mobile ha il potenziale di rappresentare un rischio per la sicurezza informatica e una violazione dei dati personali di individui che presentano già una serie di vulnerabilità legate alla loro situazione di persone in fuga da guerra, persecuzioni e violenze.
Aiuto umanitario e tecnologie blockchain: bilanciare identificazione e privacy
I dati biometrici, come le impronte digitali e le scansioni dell’iride, consentono di identificare in modo univoco le persone, anche in assenza di documenti. Sempre più diffusa in ambito umanitario, la biometria fornisce un potente strumento di responsabilità finanziaria, aiutando a garantire che i benefici vadano alle persone giuste. Tuttavia, l’impiego di dati biometrici solleva preoccupazioni sulla privacy, sull’uso inappropriato e sul livello di accuratezza delle informazioni raccolte.
In apparenza, l’identificazione biometrica sembra avere una sicurezza impenetrabile. In realtà, è tutt’altro che infallibile. La scansione dell’iride ha, ad esempio, un tasso di errore previsto del 3%. Inoltre, i dati biometrici sono vulnerabili al furto proprio come le informazioni della carta di credito. I potenziali rischi di frode dell’identità biometrica potrebbero compromettere la legittimità dell’identificazione biometrica e minacciare i mezzi di sussistenza dei rifugiati, con conseguenze sulla loro vulnerabilità. Questo è particolarmente vero perché l’uso della biometria è l’unico fattore di identificazione che i rifugiati hanno per accedere agli aiuti. In caso di frode o di furto di identità, essi perderebbero dunque accesso all’unico strumento per ricevere beni di vitale importanza.
Inoltre, la raccolta su larga scala dei dati biometrici dei rifugiati appare preoccupante perché potrebbe non essere utilizzata per servire solamente gli interessi dei rifugiati. Funzioni di controllo potrebbero infatti nascondersi dietro la scelta di legare l’aiuto umanitario al riconoscimento dell’identità tramite le tecnologie blockchain e l’intelligenza artificiale. Nelle politiche di gestione dell’immigrazione, la rilevazione biometrica è sempre più utilizzata per il controllo delle frontiere e l’applicazione della legge e nulla esclude che potrebbe essere impiegata per controllare le popolazioni di rifugiati. Anche il grado di consenso dato dai rifugiati nella raccolta dei loro dati biometrici è discutibile, considerato il loro status vulnerabile di rifugiati.
Concludendo: dati i rischi associati alla raccolta di identificatori biometrici, la necessità di fornire informazioni biometriche in cambio di aiuti potrebbe dunque essere considerata coercitiva e non etica e servire esigenze che oscillano su una linea sottile tra identificazione e sorveglianza.