La sicurezza cyber-sociale dei giovani (e non solo). Tra social network, metaversi e radicalizzazione

Ormai è imprescindibile parlare di sicurezza e democrazia, di cybersecurity e prevenzione, senza porre al centro il tema della sicurezza (cyber-)sociale; ecco perché.

Facebook è un pericolo per i bambini, per la sicurezza pubblica e per la democrazia ha dichiarato Frances Haugen, ex-ingegnere informatico di Facebook all’Europarlamento[1], dopo aver già riferito dinnanzi al Senato statunitense che, secondo alcuni report aziendali, la dipendenza da Instagram eserciterebbe un forte condizionamento sul corpo degli adolescenti. La social media platform produrrebbe, infatti, danni concreti per la salute mentale e il rendimento scolastico di oltre il 6% degli screenager, in particolare a causa della pressione esercitata dalla (cyber-)socializzazione “iper-estetica” in cui il misurarsi, soprattutto delle giovani, con modelli “sintetici” favorirebbe l’insorgere di ansia, depressione, disturbi dell’alimentazione, di atteggiamenti e comportamenti autodistruttivi; inoltre, la struttura stessa della piattaforma contribuirebbe al diffondersi tra gli utenti del cyberbullying[2]. In merito, è necessario sottolineare che solo negli ultimi tre mesi sono stati individuati circa 600.000 profili Instagram appartenenti a minorenni ad adolescenti al di sotto dei 13 anni[3].   

Nell’attesa degli esiti investigativi da parte delle istituzioni competenti, occorre fare alcune importanti considerazioni sulla strategia di Facebook, sul rapporto tra adolescenti e social media platform e sulla sicurezza in prospettiva. In tal senso, quanto denunciato dalla whistleblower mette in evidenza il potere trasformativo delle social media platform sui soggetti più vulnerabili che sono alla ricerca dell’accettazione da parte del gruppo dei pari, magari con l’aspirazione a divenire popolari e famosi come gli influencer che seguono ogni giorno con costanza[4].

GIOVANI E SOCIAL

Secondo la documentazione prodotta dalla Haugen, Facebook sarebbe da tempo a conoscenza del fatto che Instagram, la piattaforma social “abitata” per la metà da utenti al di sotto dei 22 anni, con un totale di più di 20 milioni di adolescenti statunitensi connessi ogni giorno, contribuisce allo sviluppo di ansia e depressione[5], in particolare negli adolescenti per i quali la cultura del visual storytelling, della storificazione narcisistica “patinata” della propria quotidianità, dello scrolling voyeuristico-compulsivo della vita altrui, può trasformarsi in ricerca ossessiva.

All’interno delle famiglie si evidenzia una sostanziale differenza di percezione del pericolo, tra vita online e contesto tradizionale ritenuto più cogente, essendo quest’ultimo strettamente legato alla protezione da eventuali pericoli fisici che possono determinarsi all’esterno del “nido”, della propria abitazione[6]. Dalla prospettiva genitoriale, anche a causa della scarsa conoscenza, non dei device mobili in quanto essi stessi ne sono spesso assidui utilizzatori, ma delle dinamiche di (cyber-)socializzazione e dei possibili impatti negativi, non si è tenuti a pensare alla pervasività e persuasività delle minacce online in grado di raggiungere i più giovani nella solitudine della propria camera che perde oggi la tradizionale funzione di “rifugio” perché ormai permeabile al targeting sociomediale. Le piattaforme mobile, oggi, a differenza dei social network del passato, non cercano l’engagement diretto dei singoli individui, ma incentivano l’attenzione di questi per i propri followers, favorendo così una sorta di dipendenza dall’influencing in grado di trattenere “volontariamente” gli stessi utenti. L’educazione alla (cyber-)socialità, e la consapevolezza di essa, dovrebbe avvenire primariamente attraverso i genitori, che sono talvolta essi stessi vittime di internet/ screen addiction[7], in un contesto in cui la dipendenza non è quindi generazionale, “non è una cosa da giovani” come spesso si è portati a sostenere, ma ha un carattere transgenerazionale. Tuttavia, l’ecosistema (cyber-)sociale è, soprattutto per i più giovani, sempre più popolato da categorie identitarie strutturate sul concetto di performance, veicolato a vario titolo attraverso contenuti accattivanti in grado di catalizzare la loro attenzione. I giovani iperconnessi, tra cui adolescenti e oggi sempre più pre-adolescenti, sono esposti giorno dopo giorno alle minacce celate nell’ombra della loro vita apparentemente social, dove solitudine, incertezza e insicurezza ne caratterizzano la (cyber-)socialità mettendone in evidenza le vulnerabilità in comportamenti cyber-devianti e cyber-patologici connessi a fenomeni come il cyberbullismo[8], il vamping[9], la nomofobia[10] e soprattutto la FoMO[11] – la paura di esser letteralmente “tagliati fuori” dalle reti social -, ma anche le molteplici, e talvolta letali, online challenges[12].

Sono in aumento i disturbi alimentari, gli episodi di autolesionismo e di ideazione suicidaria per le giovani vittime della “comment culture” che si sostanzia negli sciami di post negativizzanti[13]. In tal senso, occorre tener conto che quando si osservano contenuti attraverso i social, quindi in assenza di una conoscenza diretta della vittima-target, la percezione di essa è inficiata dall’assenza di informazioni necessarie quali la mimica facciale e il linguaggio del corpo, in grado di consentire la decodifica emozionale. Tale deficit informativo impedisce il riconoscimento empatico dell’altro, così come lo sviluppo delle necessarie competenze sociali, anche di coping. Quindi, assistiamo a valanghe di post che attraverso atteggiamenti iperpunitivi e di tolleranza-zero si abbattono sull’utente,  creando un’atmosfera tossica, connessa al feedback sociale – in cui il numero di like e follower costituisce il social proof[14], il sistema di validazione sociale, pericolosamente ancorato, tra l’altro, a meccanismi di monetizzazione dell’amicizia – favorita dal processo di de-umanizzazione, che si stringe intorno alla vittima[15], sino a soffocarla, inducendola nei casi più estremi al suicidio[16].   

Inoltre, senza voler affrontare qui i crescenti fenomeni di sexting, sextortion e revenge porn, che necessitano di un adeguato spazio di trattazione, occorre evidenziare come la rappresentazione sessualizzata nei social sia spesso il risultato della pressione verso la proposizione di un’immagine attraente di cui l’individuo risulta vittima, divenendo uno standard esistenziale che sottende lo sviluppo crescente dell’iper-individualismo narcisistico caratterizzante numerosi ambiti dell’ecosistema (cyber-)sociale[17].

Sul piano della fruizione, l’età media di utilizzo dei device mobili si sta progressivamente abbassando e i casi di dipendenza da schermo aumentano. Tuttavia il problema non è dato dall’utilizzo in sé della tecnologia, ma dalle dinamiche esperienziali che il bambino vive nel corso della sua connessione all’ecosistema (cyber-)sociale e dal tempo di esposizione a determinati contenuti. Aumenta, in tal senso, da parte dei pre-adolescenti la ricerca disintermediata di contenuti inadeguati, di natura sessuale e privi di censura, evidenziando che la fruizione massiva di pornografia può trasformare radicalmente il modo di percepire l’altro[18]. La pornografia si sostituisce, quindi, all’educazione sessuale, trasformando il piacere in performance, inoltre causando incompetenza relazionale, ad esempio sulla simmetria relazionale. Nell’osservare le gesta di una pornostar e facendone oggetto di autoistruzione/educazione, si creano aspettative sbagliate su di sé e sull’altro, per non parlare della crescente presenza di rappresentazioni contenenti violenza verbale e violenza fisica soprattutto ai danni delle donne. Oggi, circa il 30% dei video su internet ha un contenuto esplicito, inoltre, spesso tali contenuti vengono reperiti nelle “paludi” dell’ecosistema (cyber-)sociale rappresentate tra gli altri dai collettori di immagini e video di natura sadico-sessuale violenta e omicidiaria, con tutto ciò che la visione, talvolta accompagnata dall’interazione con sconosciuti in chat, implica per il minore[19].

Il social media engagement degli adolescenti, caratterizzato dalla dipendenza dalle dinamiche di accettazione e approvazione, dall’efficacia del rinforzo positivo della propria socialsfera, sottopongono ad una pressione costante i giovani e le giovani teenager, microtarget privilegiato del marketing one-to-one. Si consideri che, nell’ultimo decennio, il tempo medio giornaliero di connessione online dei minori è cresciuto in modo significativo, raggiungendo le sette ore. Giorno dopo giorno, quindi, i ragazzi occupano online il tempo che gli adulti mediamente impiegano per l’attività lavorativa. La caratteristica totalizzante di tale condizione è comprensibile se teniamo conto della loro necessità quotidiana, tra l’altro, di alimentarsi, svolgere i compiti assegnati, a volte un’attività sportiva e/o artistico-culturale, riposare e frequentare la scuola, con l’attenzione richiesta. Il device mobile è, quindi, lì accanto agli screenager, un naturale prolungamento corporeo, pronto a compensare i momenti, sempre più frequenti, di noia, in un contesto ove essa non viene trasformata nella capacità di gestire i pensieri, ma viene contrastata con la fruizione compulsiva. Nelle social media platform si prova una sensazione di sicurezza e benessere, si è all’interno della propria comfort zone, ma al contempo ci si trova innanzi al confronto con le immagini “splendidamente sintetiche” di coetanee e influencer, e ci si sente inadeguate. Qui, si ritiene opportuna una riflessione sulla possibilità di introdurre una norma come quella norvegese recentemente adottata per contrastare la kroppspress, la pressione sul corpo legata all’esperienza attraverso le social media platform.

Le social media platform possono essere utilizzate in particolare attraverso il ricorso alla flessibilità adattiva delle tecniche predatorie di grooming, che abbiamo iniziato a conoscere venti anni fa limitatamente alla pedopornografia online[20] e che oggi sono divenute trasversali ai diversi contesti criminali, al fine di trasformare la socializzazione online nell’opportunità spazio-temporale di sfruttamento delle vulnerabilità individuali, nei diversi contesti e secondo le finalità più disparate, attraverso specifiche strategie di microtargeting, engagement individualizzato, coltivazione, inculturazione, radicalizzazione e autoradicalizzazione violenta[21]. I social utilizzano modalità sempre più aggressive per catturare l’attenzione e coinvolgere soprattutto i più giovani. La gamification e lo sviluppo del social media gaming[22] possono rappresentare un pericolo, sia sul piano della dipendenza che su quello dello sfruttamento malevolo dell’engagement ai fini della radicalizzazione violenta, sempre più trasversale ad esperienze (cyber-)sociali non direttamente riconducibili alle infosfere violente, come riscontrato, ad esempio, in Roblox[23] ove, inoltre, lo sfruttamento come terreno fertile per gli scambot oggi dovrebbe farci porre l’attenzione, in termini di vulnerabilità, anche nella prospettiva di una fattiva sicurezza (cyber-)social e cybersecurity by-design, all’interno dei futuri metaversi.  

METAVERSO E RADICALIZZAZIONE VIOLENTA

Risulta davvero difficile immaginare che un gigante come Facebook che fa della (cyber-)socialità il proprio business non sia adeguatamente preparato a fenomeni di whistleblowing e quindi rigorosamente strutturato sul piano della tutela reputazionale. Ritengo, quindi, che l’annuncio della nascita di Metaverso non debba essere considerato una mera risposta reattiva di re-branding a seguito di quanto pubblicamente denunciato dalla Haugen. Zuckerberg ha sfruttato il picco di media coverage a livello globale, per il lancio di un progetto, già in essere da diverso tempo, ma tenuto strategicamente in secondo piano, seguito a poca distanza dall’annuncio di chiusura del sistema Face Recognition, tecnologia non più reputazionalmente opportuna, come attestazione di rispetto dell’utente. L’emersione, quindi, del progetto in fieri Metaverso, sistema immersivo e aperto, assurge alla necessità di: a) intercettare la crescente centralità dell’esperienza (cyber-)sociale, come vero e proprio elemento chiave dell’evoluzione dell’ecosistema (cyber-)sociale; b) posizionarsi il linea con il rapido e continuo processo di decentralizzazione delle piattaforme, dei servizi e dei mercati, che costituisce una totale rivoluzione, soprattutto in termini di cybersecurity, per quello che ci ostiniamo limitatamente a definire internet e social media; c) de-boomerizzare Facebook, ossia eliminare l’etichetta di piattaforma dei boomer, dei vecchi, cioè di coloro che sono cresciuti nel mondo analogico, insomma gli “ospiti” di questo secolo, così da raccogliere l’interesse dei più giovani che sono anche il target preferito in termini di marketing, nonché quelli più disposti ad accettare la smaterializzazione dei beni e delle relazioni, fattori sempre più convergenti nell’orizzonte di un mondo compiutamente onlife. Occorre considerare che se il framework normativo rimarrà aderente all’orientamento di questo primo ventennio di secolo, con l’immersività “volontaria” nel Metaverso – e nei metaversi che gemmeranno nei prossimi anni -, sarà più facile per le Big Tech gestire il conflitto tra profitto aziendale e sicurezza dell’utente, a favore del primo. Risulta opportuno, inoltre, riflettere con attenzione sin da ora alla prospettiva dualistico-identitaria tra ruolo di cittadino e meta-abitante, nonché dei suoi eventuali profili di dissidio, rifiuto antisistemico, antagonismo e conflitto sociale, dalla vulnerabilità alla radicalizzazione informazionale, anche in considerazione della dipendenza da un meta-sistema di realtà – di cui oggi non siamo in grado di immaginare il livello di astrazione e distanza con la vita tangibile – che poggia immancabilmente sulla monetizzazione dell’esperienza e della relazione.

Sono entrata in Facebook nel 2019 perché qualcuno vicino a me si è radicalizzato online ha aggiunto la Haugen nella sua relazione all’Europarlamento. Questo ci deve far riflettere su quanto sia ormai imprescindibile parlare di sicurezza e democrazia, di cybersecurity e prevenzione, senza porre al centro il tema della sicurezza (cyber-)sociale[24]; basti citare, in estrema sintesi, le minacce – talvolta convergenti nella medesima strategia aggressiva – poste in essere da fenomeni come la radicalizzazione e l’autoradicalizzazione violenta, l’estremismo[25], i cospirazionismi, la mis-/disinformazione come vettori di polarizzazione divisiva, la weaponizzazione dei cittadini, la diffusione della violenza, non “solo” nelle infosfere dell’odio[26], ma in modo più ampio attraverso l’ecosistema (cyber-)sociale, con l’obiettivo di targetizzare, motivare, ispirare, favorire e/o innescare l’azione violenta e distruttiva eterodiretta, tanto collettiva quanto individuale, più o meno riconducibile ad ogni sorta di matrice ideologica e pseudo-ideologica, in un contesto di crescente tribalizzazione tecnosociale[27]. Ciò evidenziando la relazione tra social media engagement e ansia che ha raggiunto oggi i livelli di patologia sociale. Senza, quindi, voler qui affrontare il complesso tema delle vulnerabilità socio-cognitive nella disseminazione massiva di contenuti tossici  e ambigui – con volumi e forme che l’automatizzazione dei processi non riesce a mitigare, se non addirittura ad intercettare – in relazione a campagne e/o operazioni scalabili di influenza, interferenza, ingerenza direttamente o indirettamente riconducibili ad attori esteri, non sempre dichiaratamente ostili, anche con la finalità di manipolazione delle elezioni.

In conclusione, pur essendo costantemente avvolti dal disordine, dal rumore, dalla diafonia (cyber-)sociale, non dobbiamo cadere nella trappola della demonizzazione tecnologica, ma comprendere profondamente l’essenza del mutamento tecnosociale in essere; quindi, all’educazione alla prevenzione delle minacce fisiche, nel vivere quotidiano, occorre affiancare quella relativa alle minacce nell’ecosistema (cyber-)sociale sempre più ubiquitariamente presente. Senza dimenticare che questi giovani sono, oggi, nostri cittadini, e rappresentano non solo un valore irrinunciabile per il nostro presente, ma la nostra proiezione come comunità, nel futuro.


  • [1] https://www.key4biz.it/facebook-haugen-il-metaverso-e-una-rinuncia-ai-dati-personali-si-rischia-un-altro-monopolio/381274/
  • [2] https://www.lavocedinewyork.com/news/primo-piano/2021/10/05/frances-haugen-al-senato-usa-facebook-semina-divisioni-e-indebolisce-la-democrazia/
  • [3] https://www.newsweek.com/facebook-pulled-over-600000-instagram-accounts-belonging-users-under-13-over-3-months-1634411
  • [4] https://research-api.cbs.dk/ws/portalfiles/portal/60699929/790596_The_relationship_influencer_teenager_THESIS.pdf
  • [5] https://www.wsj.com/articles/facebook-knows-instagram-is-toxic-for-teen-girls-company-documents-show-11631620739
  • [6] https://dl.acm.org/doi/abs/10.1016/j.chb.2016.12.004
  • [7] http://sarahdomoff.com/wp-content/uploads/2019/12/Development_and_validation_of_.pdf
  • [8] https://www.miur.gov.it/bullismo-e-cyberbullismo
  • [9] https://www.iss.it/documents/20126/45616/18_21_web.pdf/075d1898-300c-9629-3e8f-84fd11641154?t=1581099413359
  • [10] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7013598/
  • [11] https://www.istitutobeck.com/beck-news/fomo-e-nomofobia
  • [12] https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/challenge-su-internet-cosa-sono-e-come-difendersi/
  • [13] https://library.oapen.org/bitstream/handle/20.500.12657/42883/9789048542048.pdf?sequence=1&isAllowed=y
  • [14] https://ec.europa.eu/info/sites/default/files/osm-final-report_en.pdf
  • [15] https://www.researchgate.net/publication/221687619_Social_Media_and_Suicide_A_Public_Health_Perspective
  • [16] https://suicidology.org/wp-content/uploads/2019/07/SUICIDE-SOCIAL-MEDIA.pdf
  • [17] https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2352853219302391
  • [18] https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/2158244019899462
  • [19] https://enough.org/
  • [20] https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-pandemia-moltiplica-gli-orchi-in-rete
  • [21] https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2021/05/estratto.pdf
  • [22] https://www.forbes.com/sites/forbesbusinesscouncil/2021/03/16/why-the-gaming-industry-could-be-the-new-social-media/
  • [23] https://www.wired.com/story/roblox-online-games-irl-fascism-roman-empire/
  • [24] https://cybersecnatlab.it/wp-content/uploads/2019/07/Libro-Bianco-2018.pdf
  • [25] https://formiche.net/2021/02/memetic-warfare-antinori/
  • [26] https://formiche.net/2021/11/minacce-eversive-infosfere-antinori-cossiga/
  • [27] https://europaatlantica.it/emergenza-coronavirus/2021/04/pandemia-mutamento-e-complessita-il-virus-della-crisi-dopo-la-crisi-del-virus/

PhD. Professor of Criminology and Sociology of Deviance at Sapienza Università di Roma.

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