Il 2018 sarà l’anno della cybersecurity

l boom delle criptovalute, l’avanzata dell’intelligenza artificiale e l’espansione del fenomeno industria 4.0. Ma anche il ritardo sulle competenze digitali, la debolezza della cybersecurity e l’immobilismo dei progetti smart city.

Queste sono solo alcune delle istantanee che hanno segnato il 2017 dell’innovazione digitale in Italia, vissuto a metà fra conferme definitive e novità sfidanti. La natura galoppante dello sviluppo tecnologico non concede però troppo tempo ai bilanci, costringendo buona parte dello sguardo a una proiezione costante oltre il quotidiano. L’economia digitale sempre più si distingue infatti per la sua capacità di vivere nel presente, imparando dal passato e puntando sul futuro. E mettere nei radar questo mix di ieri, oggi e domani aiuta a immaginare alcune delle sfide più calde dell’anno che verrà. Infrastrutture digitali, dalla banda larga al 5G. Tutte le piattaforme e i dispositivi connessi che utilizziamo ogni giorno vivono grazie a un fitto tessuto di fibre ottiche, cavi sottomarini, data center e altri nodi di rete. Un complesso cuore pulsante di cui quasi non ci accorgiamo e che rappresenta il lato invisibile della trasformazione digitale.

Non sarà appassionante e avveniristico come l’intelligenza artificiale o la robotica, ma il tema delle infrastrutture digitali è imprescindibile. A meno che qualcuno riesca a dimostrare la possibilità di fare innovazione tecnologica senza connettività. L’anno che si sta per chiudere è stato per l’Italia quello dell’accelerazione sulla banda ultra-larga e dell’avvio delle sperimentazioni del 5G. Il 2018 dovrà dirà molto sullo sviluppo di questi sistemi abilitanti, specialmente in termini di sostenibilità degli investimenti. La domanda di connessioni ultraveloci non è ancora decollata e segnali evidenti che ciò stia per accadere non ce ne sono. Lo scenario potrebbe però cambiare: il Governo ha sbloccato 1,3 miliardi di euro da tradurre in voucher per spingere famiglie imprese all’upgrade. Cybersecurity e privacy, l’esame di maturità. Il cybercrime ha battuto nel corso di quest’anno tutti i record possibili e immaginabili, dal numero assoluto di offensive riuscite ai danni economici e d’immagine. Secondo le previsioni il 2018 non sarà da meno, anzi sarà probabilmente peggio. Lo scenario cupo è dettato in gran parte da un approccio diffuso che considera la sicurezza informatica come elemento collaterale, o comunque secondario, dell’evoluzione digitale. E spaventa il fatto che questa visione limitata, nonostante l’ondata di attacchi che ha scandito il 2017, sia tutt’altro che sulla via del tramonto.

L’attenzione mediatica sollevata dalle offensive più eclatanti ha almeno favorito un innalzamento del livello di guarda. La speranza è che gennaio inauguri l’anno della maturità, perché sulla capacità di difendersi e difendere, soprattutto i nostri i dati, le aziende si giocano tanto. Una spinta positiva è attesa, almeno in Europa e quindi anche in Italia, dal regolamento europeo in materia di privacy, che sarà pienamente applicabile dal prossimo maggio e che prevede nei casi più gravi sanzioni potenzialmente disastrose (fino al 2% del fatturato globale). Smart city, la grande assente della rivoluzione 4.0. A chi segue il tema delle città intelligenti sanguineranno le orecchie a sentire la solita descrizione dello scenario italiano: troppe sperimentazioni e poca concretezza. Le eccezioni sono poche e il rischio che una delle declinazioni più interessanti dell’economia digitale diventi una barzelletta esiste. La smart city italiana sembra entrata in un circolo vizioso per cui il settore privato aspetta l’amministrazione pubblica e l’amministrazione pubblica aspetta il privato. Mentre i cittadini, sempre più connessi e mobile, sanno ormai di essere molto più avanti delle proprie città in termini di maturità digitale. Rivoluzioni all’orizzonte non se ne vedono. Si potrebbe però rubare qualcosa dall’esperienza dell’industria 4.0 che, seppur con il neo delle competenze, ha insegnato quanto convenga fare. Immaginare quindi un nuovo piano nazionale per le smart city potrebbe essere una soluzione. C’è però l’incombenza delle elezioni politiche che non aiuta. Tanto vale sperare allora che qualcuno porti un po’ di progettualità su questo tema in campagna elettorale. E che magari, una volta eletto, riesca a superare le maledette sperimentazioni. Blockchain e Bitcoin, quale futuro nella finanza? Il Bitcoin è stato uno dei protagonisti indiscussi del 2017. Grazie alle montagne russe del prezzo di cambio la moneta digitale più famosa al mondo è uscita definitivamente dalla nicchia nerd, aprendo gli occhi di analisti e osservatori su una delle tecnologie più dirompenti della digital economy: la blockchain. Il sistema che regola il funzionamento della criptovaluta sta infatti attirando una valanga di investimenti e la pista si preannuncia affollatissima, con i pionieri della blockchain attivi da ormai un decennio pronti alla competizione con le grandi compagnie scese in campo negli ultimi anni. A osservare con apprensione questi fenomeni, che fanno del controllo decentralizzato il tratto distintivo, è naturalmente il mondo della finanza.

Il boom dei bitcoin, e delle criptovalute in generale, è infatti nato fuori dal circuito finanziario tradizionale e non ha alcuna intenzione di piegarsi ai suoi meccanismi, in particolari a quelli regolatori. Qui risiede probabilmente la vera partita 2018. Le banche centrali si stanno scervellando per capire se, come e quando agire. Si vedrà. Nel frattempo continuerà a farci compagnia l’immortale, inflazionato e anche un po’ stucchevole dibattito sulla bolla speculativa. Il lavoro nell’era dell’intelligenza artificiale . Impossibile non citare infine il machine learning, il cognitive computing e i loro fratelli. Le tecnologie di intelligenza artificiale sono infatti già fra di noi tra applicazioni più tangibili, come i chatbot dell’online banking, e soluzioni meno visibili, come quelle del web marketing basato sui big data. C’è però un aspetto collaterale di questa innovazione straordinaria che non può né deve essere trascurato. È infatti ormai noto che l’automazione di soluzioni, servizi e macchinari provocherà la trasformazione radicale o la scomparsa di molte professioni. Definire quindi prioritaria una discussione seria e profonda su questo tema è abbastanza scontato. Eppure si assiste a un dibattito che tende ad animarsi solo quando le grandi personalità del mondo scientifico e tecnologico alzano la voce, preannunciando effetti più o meno devastanti. L’attenzione si impenna, impiegando però poco tempo a svanire. Chissà che il 2018 non sia l’anno giusto per vedere seduti allo stesso tavolo (magari pure permanente) i governi, le aziende, i sindacati e gli esperti. Tutti insieme per immaginare una gestione attiva e non passiva di questa transizione digitale del lavoro. È stato uno dei protagonisti del 2017. Grazie alle montagne russe del prezzo di cambio la moneta digitale più famosa al mondo è uscita definitivamente dalla nicchia nerd, aprendo gli occhi di analisti e osservatori su una delle tecnologie più dirompenti della digital economy: la blockchain Segui Paese Digitale

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